Il quotidiano La Sicilia di oggi, domenica 30 giugno 2019, dedica una intera pagina ai “gioielli” naturalistici di Motta S. Anastasia: il Neck vulcanico e la Valle dei Sieli. L’articolo è a firma di chi scrive e la pagina avrebbe dovuto ospitare pure due schede dedicate al Neck e ai Sieli, che sono state “sacrificate” per lasciare spazio a una replica del sindaco di Motta S. Anastasia rilasciata al corrispondente locale del giornale, Giorgio Cicciarella.
Per agevolarne la lettura, trascrivo qui di seguito i pezzi nella loro stesura originari, sia quello pubblicato, sia quelli rimasti inediti.
Avrei tanti argomenti per controbattere quasi parola per parola le affermazioni del sindaco Carrà, ma preferisco che siano i lettori, meglio se Mottesi, a trarne le conclusioni.
P.S.
Purtroppo, nel titolo un maligno refuso ha storpiato “Sieli” in “Saeli”. Cose che capitano.
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Nel territorio di Motta S. Anastasia vi sono due autentici “gioielli” della Natura. Uno è la Valle dei Sieli con i suoi calanchi (le “Valanghe d’inverno”) e i corsi d’acqua perenni che la solcano formando ambienti umidi che ospitano una fauna (Granchio di fiume, Germano reale) e una vegetazione (Tamerici, Cannuccia di palude) straordinarie, un territorio, purtroppo, ferito e brutalizzato da una discarica pubblica che ha distrutto i calanchi e che continua ad ammorbare l’aria del paesello del dongione normanno. L’altro “gioiello” è il Neck vulcanico con i suoi straordinari basalti colonnari a sezione pentagonale ed esagonale, la cui origine risale a oltre trecentomila anni fa. Pure il Neck è mortificato dalla presenza di una microdiscarica abusiva nello slargo e nella aiuola sottostanti i basalti colonnari ed è stato sporcato con la vernice spruzzata da bombolette spray proprio sui basalti prismatici. Le amministrazioni comunali che si sono finora avvicendate non hanno mai ritenuto di elaborare un progetto di tutela, valorizzazione e fruizione di questa “perla” che solo in poche altre località della Terra è possibile ammirare, come il Selciato dei Giganti in Irlanda del Nord, la grotta di Fingal in Scozia, la cascata di Swaitifoss in Islanda, nel Parco Nazionale di Nikko in Giappone, i basalti colonnari di Guspini in Sardegna, l’Hoggar in Algeria, nelle Isole Canarie, nel Massiccio Centrale Francese, la Devil’s Tower negli Stati Uniti. In Sicilia, li ritroviamo anche nel porto di Aci Trezza, alle Gole dell’Alcantara e nelle bancate laviche del Simeto. Se si eccettua il tentativo (finora unico) di valorizzazione culturale effettuato dall’allora preside della scuola media locale, prof. Giuseppe Adernò, con la collaborazione scientifica dell’indimenticabile vulcanologo dell’Ingv di Catania, prof. Romolo Romano, di cui è rimasta testimonianza la grande tabella esplicativa posta all’ingresso del centro storico cittadino, il Neck non è mai stato preso in seria considerazione per una rivalutazione culturale, manca persino una adeguata segnaletica che guidi i turisti e non è sottoposto a videosorveglianza per stroncare gli atti di inciviltà che umiliano questo patrimonio naturalistico straordinario.
Ma la tutela, valorizzazione e fruizione del Neck vulcanico non passa soltanto attraverso il mantenimento della pulizia del sito. Bisogna convincersi una volta per tutte che il Neck è un valore aggiunto nell’ambito di un auspicabile progetto finalizzato al rilancio culturale del paese di Motta S. Anastasia. Non è più accettabile continuare a lasciare il territorio mottese nell’oblio, perché esso è ricco di emergenze naturalistiche che vanno protette, conservate e fruite. È, quello mottese, un patrimonio naturalistico di inestimabile valore ambientale che andrebbe correttamente gestito e destinato alla fruizione dei residenti e dei turisti italiani e stranieri, come è stato accertato in un recente studio svolto sulla Valle dei Sieli che, tra l’altro, aveva lo scopo di elaborare una serie di proposte di itinerari naturalistici ciclopedonali senza trascurare gli aspetti storici che caratterizzano il territorio. Il rilancio culturale del paese, che purtroppo continua a essere noto come il “paese della discarica”, deve passare attraverso progetti che lo facciano apparire come il paese del Neck vulcanico, delle Valli dei Sieli e del Finaita, di Poggio La Guardia, degli ulivi millenari, dei calanchi, del dongione normanno e del suo storico borgo medievale, del Mausoleo di guerra germanico, puntando sia sul turismo culturale stanziale, sia sul turismo scolastico, attività che portano benessere alla popolazione residente e posti di lavoro per i giovani mottesi. Occorre avere il coraggio di invertire la rotta e di dire basta alla politica dell’effimero per puntare verso una politica finalizzata alla realizzazione di strutture culturali stabili rispettose del territorio. E, per raggiungere tale obiettivo, l’unica strada percorribile è l’istituzione del Parco Urbano Intercomunale delle Valli dei Sieli ricadenti nei Comuni di Motta Sant’Anastasia e di Misterbianco.
GIUSEPPE SPERLINGA
LE VALANGHE D’INVERNO
Le Valanghe d’Inverno (valanghe è la corruzione linguistica di calanchi) è il nome locale di una vasta zona calanchiva situata a est dell’abitato di Motta Sant’Anastasia. Com’è noto, i calanchi sono una formazione geologica consistente in una numerosa serie di solchi d’erosione, profondi, stretti e separati fra loro da esili creste rocciose, sui quali non riesce ad attecchire alcuna vegetazione, poiché l’erosione trascina via i semi e le radici. Si possono originare sia per azione delle acque piovane, sia per quelle di ruscellamento su un suolo impermeabile, ma facilmente erodibile, qual è appunto quello costituito dalle argille. Essi si formano in regioni aride, su terreno acclive, dove è stata rimossa la cotica erbosa per effetto dell’eccessivo pascolamento, ma dal punto di vista paesaggistico forniscono una visione affascinante. Qualora volessimo visitare i calanchi dirigendoci verso Poggio la Guardia (270 m s.l.m.), che è la cima più alta della zona, si aprirà ai nostri occhi il suggestivo spettacolo dei calanchi con le loro lame argillose, i colori ocracei e la impressionante nudità del luogo. Purtroppo, sul fondo della valle calanchiva, si noterà la presenza di una orribile puzzolente discarica pubblica che continua a raccogliere i rifiuti provenienti dai Comuni di mezza Sicilia.
G.S.
IL NECK
Mezzo milione di anni fa, là dove oggi si erge l’imponente edificio vulcanico etneo, vi era un grande golfo marino con acque poco profonde, il fondale del quale era ricoperto da vari strati di argille azzurre pleistoceniche. Trecentomila anni fa, si verificò la prima eruzione preetnea in ambiente subaereo nell’area dove oggi sorge l’abitato di Motta S. Anastasia. Si trattò di un’eruzione da cui non fuoriuscì alcuna colata lavica, perché il magma rimase intrappolato nella parte alta del condotto, all’interno del quale, piano piano, cominciò a raffreddarsi e a solidificare, mentre all’esterno si liberavano rapidamente i gas e si accumulavano grandi quantità di frammenti di roccia espulsi durante l’attività esplosiva. Questo particolare tipo di vulcano si chiama “diatrema” e dà origine a un edificio molto basso. Poi, l’erosione degli agenti atmosferici smantellerà l’edificio piroclastico, mettendo così a nudo la massa magmatica ormai solidificatasi, che si mostrerà come una rupe di forma vagamente cilindrica, il “neck” appunto, termine inglese che significa “collo”. A seguito del lentissimo raffreddamento, avviene una contrazione differenziata della massa magmatica ancora allo stato fluido all’interno del condotto, permettendo la formazione di raggruppamenti colonnari basaltici a sezione esagonale e pentagonale, oggi visibili alla base della rupe, da via Montalto.
G.S.
LA VALLE DEI SIELI
La valle dei Sieli è percorsa da un corso d’acqua perenne che si origina da un impluvio situato tra le contrade Ninfo, Cannicciola e Milone e che, nel territorio di Rinazzo, si fa più consistente, per poi passare prima nella Valle della Mendola, dopo nella Saia Mastra e, infine, nel Canale Buttaceto, che a sua volta sfocia nella vecchia ansa del fiume Simeto. Tale sistema acquifero scorre su un suolo costituito da argille marnose azzurre, spesso mescolate a sabbie quarzarenitiche, le stesse che formano il sedimento basale dell’Etna formato da depositi marini di circa due milioni di anni fa (Pleistocene). Un tempo intensamente coltivati, i terreni dei Sieli mostrano, oggi, qualche rada coltura di ulivi, ma in larga misura, oggi, sono utilizzati a pascolo. Ciò nonostante, nelle varie stagioni, si rivestono di fioriture di specie botanicamente interessanti. Per accedere alla valle dei Sieli si suggerisce di percorrere la via dell’Ulivo Millenario, vicina alla via Montalto che si snoda alla base del Neck, ma ancora oggi chiusa (teoricamente) al traffico veicolare e pedonale dopo il distacco di massi dalla rupe. La stradella, in realtà, dovrebbe avere una denominazione al plurale perché ai suoi lati sono presenti diversi maestosi ulivi plurisecolari, alcuni dei quali sono sicuramente millenari, che se potessero parlare ci narrerebbero la storia di quegli luoghi dai tempi della dominazione araba ai giorni nostri. Giunti in fondo alla valle, superato il guado del torrente, s’incontra un voluminoso accumulo caotico di massi lavici localmente noto col termine dispregiativo di “Roccazzo”, che qualcuno ipotizza trattarsi di un secondo neck di dimensioni più ridotte, altri sostengono che potrebbe essere materiale roccioso distaccatosi dal neck soprastante.
G.S.