Stelle e Ambiente

Mese: giugno 2020

ALBERI PERICOLOSI A CANALICCHIO

ALBERI PERICOLOSI E TERRENO ABBANDONATO A CANALICCHIO

L’incrocio tra le vie Pedara e Generale di San Marzano forma uno slargo senza nome alberato da Jacarande dalle belle fioriture color lilla. A suo tempo, ne furono messe a dimora quattordici. Nel giugno di sette anni fa, una mano criminale ne tranciò due. Qualche anno prima, ne erano spariti altri due e, in una delle due aiuole, qualcuno impiantò un arbusto di Lauroceraso. Sempre meglio di niente, se non fosse che questa pianta ha le foglie e, soprattutto, i frutti velenosi perché contengono acido cianidrico. Nell’un caso e nell’altro, si è interrotta la continuità arborea. Dei dieci esemplari di Jacaranda superstiti, uno è ormai secco da un paio di anni: morto per cause naturali? Avvelenato da qualcuno cui dava fastidio la chioma? Non lo sapremo mai. Ciò che, invece, è certo è che quest’albero morto costituisce un pericolo per i passanti, perché potrebbe schiantarsi al suolo. Sarebbe opportuno rimuoverlo e, al suo posto, mettere a dimora una Jacaranda, come pure nelle tre aiuole rimaste vuote.

Un’Acacia ormai morta è quella che, sporgendo sulla strada, poggia sull’inferriata del plesso di via Ferro Fabiani dell’Istituto comprensivo statale “Italo Calvino”. Accanto a essa, due rami di un Ailanto poggiano sui cavi di una linea elettrica con conseguenze facilmente immaginabili se si dovesse spezzare.

Altra pericolosa situazione in via Domenico Morelli, poco dopo l’innesto di via Generale di San Marzano, dove una coppia di Ailanti che si protendono a formare una sorta di arcata verde sull’intera carreggiata stradale. Altri Ailanti pericolosi con rami secchi e penduli sono quelli che formano il lungo filare che costeggia le aiuole del “parco Amico” di via Concetto Marchesi. Nell’un caso e nell’altro, è necessaria una sapiente e mirata potatura di contenimento per evitare ciò che è successo qualche giorno fa nello slargo di fronte alla chiesa S. Maria del Carmelo, dove si è schiantato al suolo il grosso ramo di un Ailanto, cadendo vicinissimo a una delle panchine, che in quel momento era vuota.

In via Taranto, infine, vi è un terreno di proprietà comunale trasformato in micro discarica abusiva. Ed è un peccato, perché è circondato da una decina di Falso pepe, vi è un bel Pino (prima erano due, ma quello più giovane, reo di avere sviluppato il tronco troppo inclinato, invece di essere messo in sicurezza con dei tutori, fu sbrigativamente tagliato alla base), un folto cespuglio di Oleandro, un giovane esemplare di Ulivo, un paio di Ficus elastica, una Yucca e una macchia di Fico d’India, con al centro tre Palme. Questo terreno è ormai ricettacolo di ogni sorta di rifiuti e di deiezioni canine, regno di topi che scorrazzano indisturbati e, in questo periodo. È, pure, a rischio incendio per le piante selvatiche ormai secche. Occorrerebbe bonificare e recuperare quest’area, recintarla con paletti di castagno, dotarla di un paio di sedili e affidarne la cura alla vicina scuola “Italo Calvino”: ne guadagnerebbe il decoro di questo angolo del quartiere dimenticato pure dai consiglieri della municipalità.

GIUSEPPE SPERLINGA

 

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CAPITOZZATURA SELVAGGIA IN VIA NOVALUCE EX PROVINCIA REGIONALE DI CATANIA

Il quotidiano “La Sicilia” di oggi, lunedì 15 giugno 2020, pubblica un articolo a firma di chi scrive sulla barbara decapitazione del Ficus (microcarpa?) all’ingresso degli edifici della ex Provincia Regionale di Catania, in via Novaluce.
Per esigenze di spazio, il redattore ha dovuto accorciare il pezzo. Qui di seguito, il testo originale.
G.S.

MOTOSEGA SELVAGGIA DECAPITA FICUS IN VIA NOVALUCE
Basta un pretesto per mobilitare operai “armati” di motoseghe con un ordine perentorio da eseguire: capitozzare! Stavolta, a essere barbaramente decapitato è toccato al Ficus (microcarpa? Dall’aspetto della corteccia si direbbe di sì) accanto all’ingresso della ex Provincia regionale di via Novaluce, a Canalicchio, ma amministrativamente ricadente in territorio di Tremestieri Etneo. Il povero albero è stato letteralmente privato della chioma, ridotto a uno scheletrico palo con le grosse branche ridotte a moncherini protesi verso l’alto, quasi a gridare vendetta al cielo. La sua colpa? Reo di trovarsi accanto al palo dell’illuminazione. È fuor di dubbio che, a suo tempo, fu commesso un errore grossolano, delle due l’una: o fu messo a dimora un albero che avrebbe sviluppato una grande chioma vicino al palo o viceversa. Come hanno fatto finora a porre rimedio a tale sbaglio? Nella maniera più sbrigativa ed errata: capitozzando periodicamente l’albero, spendendo soldi pubblici, senza risolvere il problema, ma procrastinandolo sine die.
A nessuno è passato per la mente di porsi una domanda facile facile: quali conseguenze, col tempo, subirà l’albero? Purtroppo, è ancora ben radicata la convinzione che il Ficus è una pianta assai robusta, reagisce magnificamente alle capitozzature e, in breve tempo, riformerà la chioma di prima. E qui casca l’asino. Anzi, casca l’ignorante (inteso come participio presente del verbo ignorare) che ha ordinato l’ennesimo brutale intervento ai danni dell’albero. Se è vero che il Ficus (microcarpa?) è una pianta vigorosa e sopporta bene i tagli drastici, è altrettanto incontrovertibile il fatto la pianta marcirà al suo interno, lentamente ma inesorabilmente si svilupperà un processo di carie che renderà l’albero cavo, divenendo così un pericolo per l’incolumità dei passanti. Con l’estate ormai alle porte, l’albero reagirà con un disordinato riscoppio di tutte le gemme, le quali riformeranno una chioma informe, irregolare, più bassa di prima, si avrà la proliferazione di lunghi rami esili, sottili, i quali saranno facili a spezzarsi nelle giornate ventose. Nel frattempo, verrà meno sia il benefico apporto della quota di ossigeno rilasciato dalle foglie, sia la rimozione dell’anidride carbonica e del particolato fine che inquinano l’aria di una strada trafficatissima qual è appunto via Novaluce. Per non dire del desolato aspetto che ha assunto il povero albero dopo l’asportazione della chioma e della distruzione dei numerosi nidi di uccelli visto che il drastico intervento cesorio è stato effettuato in pieno periodo di nidificazione.
GIUSEPPE SPERLINGA

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STELLE E AMBIENTE CHIEDE LA RIAPERTURA DELLA GROTTA DI VIA CECCHI (CATANIA)

 

STELLE E AMBIENTE

Associazione per la ricerca e divulgazione astronomica e ambientale

 “Marcello La Greca” – Catania

Presidente: prof. Giuseppe Sperlinga

Contatti: 3288172095 –3402161035 (WhatsApp) –  info@stelleambiente.it   –   www.stelleambiente.it

 

                                                                       Gent.ma Dott.ssa

                                                                       Rosalba Panvini

                                                                       Soprintendente per i Beni Culturali e Ambientali

                                                                       CATANIA

soprict@certmail.regione.sicilia.it

 

 

Oggetto: Riapertura ingresso grotta di via Cecchi – Catania

Catania, 11 giugno 2020

 

 

Gent.ma Soprintendente,

a nome dell’associazione onlus “Stelle e Ambiente per la ricerca e la divulgazione astronomica e ambientale “Marcello La Greca” di Catania, che ho l’onore di presiedere, chiedo il Suo autorevole intervento per la riapertura  di una imponente galleria di scorrimento lavico preistorica per dimensioni e sviluppo lineare (mediamente larga 6-8 metri, alta 3-4 metri dal pavimento e lunga probabilmente 800 metri, 400 dei quali accertati), arrivata ai nostri giorni in ottimo stato di conservazione e riportata alla luce nel maggio del 2000 durante i lavori di scavo per la realizzazione di un box in proprietà privata del signor Rapisarda, ubicata al civico 8 di via Antonio Cecchi di Catania. La grotta in questione, il cui nome provvisorio è “Grotta di via Cecchi”, fu riscoperta casualmente da chi scrive ed esplorata con la collaborazione degli speleologi del Gruppo Grotte del CAI sezione dell’Etna di Catania.

Negli anni Settanta del secolo scorso, tale cavità fu intercettata e sventrata per un tratto di una trentina di metri dalle ruspe adoperate per lo sbancamento lavico di un’area compresa tra le vie Cecchi, Antonelli e Pietra dell’Ova, nei pressi dell’Istituto San Giuseppe, dove poi furono edificati numerosi appartamenti in villa, gran parte dei quali scaricano ancora oggi i liquami nella sottostante grotta, la quale è, da una cinquantina d’anni, impropriamente utilizzata come scarico fognario (“pirituri”).

La prima esplorazione della grotta fu compiuta alla fine di maggio 2000. In quell’occasione si accertò che la cavità si sviluppava nella medesima unità di flusso di una eruzione avvenuta in epoca preistorica, nelle cui lave sono presenti alcune cavità di inestimabile importanza scientifica e note da tempo agli speleologi e agli archeologi: la Grotta Nuovalucello I e la Grotta Nuovalucello II, che hanno l’ingresso nel cortile del Seminario Arcivescovile (ve ne era una terza, ma è stata distrutta); la Grotta Petralia, che si apre in un orto privato di via Filippo Liardo; la Grotta Mario Ciancio, in una proprietà privata di via Pietra dell’Ova; la Grotta Caflisch, anch’essa in una proprietà privata di via De Logu.

Come già detto, si tratta di cavità naturali di rilevante importanza scientifica e culturale, perché in passato hanno restituito reperti archeologici che, oggi, in parte sono custoditi dalla Soprintendenza di Catania, in parte sono esposti nel Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi” di Siracusa.

Sin dal primo momento della sua riscoperta, la Grotta di via Cecchi si rivelò subito di grande importanza scientifica, soprattutto dal punto di vista speleologico, biospeleologico e archeologico. Essa, infatti, fu sommariamente esplorata dagli speleologi del Gruppo Grotte del CAI per circa 450 metri, ma rimase inesplorata una galleria di grandi dimensioni intravista oltre uno stretto cunicolo. Fu, altresì, eseguita una ricerca speditiva sulla fauna cavernicola che permise di rinvenire numerosi esemplari di Isopodi terrestri appartenenti alla specie Buddelundiella cataracte, presente nella vicina grotta Nuovalucello I. Infine, furono rinvenuti numerosi frammenti ceramici e ossa umane, la cui presenza nella grotta fu immediatamente segnalata alla Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Catania. Il sopralluogo effettuato dott. Francesco Privitera, archeologo della Soprintendenza etnea, consentì di rinvenire frammenti di un vaso preistorico, ceramiche dipinte, il lisciatoio ancora sporco di colore appartenuto a un pittore vissuto più di quattromila anni fa, sepolture che tuttora custodiscono calotte craniche e femori umani di uomini dell’Età del Bronzo, un vaso ancora intatto risalente forse all’Età del Rame e una gran quantità di frammenti ceramici e tegoloni di epoca romana, una lucerna paleocristiana, alcune macine in pietra lavica.

Considerata la grande importanza scientifica della cavità, una volta completati i lavori di costruzione del box, la Soprintendenza s’impegnò a rendere possibile l’accesso in maniera autonoma dal box del signor Rapisarda, assumendosi l’onere delle spese per l’installazione di un robusto cancello di ferro. Purtroppo, alla volontà d’intenti e alle parole non seguirono mai i fatti, perché il signor Rapisarda, stanco di aspettare, murò l’ingresso della grotta. E da quel momento non fu più possibile proseguire l’esplorazione della grotta, né eseguire il suo rilevamento topografico in pianta e in sezione, né completare le ricerche scientifiche di tipo biospeleologico e archeologico.

Alla luce di quanto prima esposto e in considerazione del fatto che la ripresa delle ricerche all’interno della Grotta di via Cecchi consentirebbe di incrementare le conoscenze finora acquisite sul patrimonio naturale sotterraneo della periferia settentrionale della città di Catania, Le rivolgo l’invito, gentile Soprintendente, di voler disporre la riapertura della cavità. Ciò comporterebbe da parte della Soprintendenza di Catania un onere finanziario intorno a tremila euro per la copertura delle spese necessarie per l’abbattimento di un breve tratto di muro in mattoni (2,5 m di larghezza x 2,5 m di altezza) e per la successiva applicazione di un cancello di ferro delle medesime dimensioni.

Una volta realizzato il cancello d’ingresso, l’Associazione “Stelle e Ambiente” è disponibile a impegnarsi, a titolo assolutamente gratuito, nella gestione della fruizione scientifica e culturale della Grotta di via Cecchi, nella prospettiva dell’attuazione del progetto denominato “Parco Vulcanospeleologico Metropolitano” che prevede la tutela e la valorizzazione sia delle cavità naturali e artificiali, come le cave di ghiara e i rifugi antiaerei ricavati al di sotto delle lave della colata del 1669, sia delle lave incolte, le “sciare”, dislocate nel territorio metropolitano di Catania, che oltre alla città capoluogo e la frazione di San Giovanni Galermo comprende i Comuni di Gravina, Mascalucia, Tremestieri Etneo, San Pietro Clarenza, Camporotondo Etneo, Belpasso, Misterbianco.

Rinnovando la piena disponibilità dell’Associazione “Stelle e Ambiente” a quanto prima esposto e fiducioso della benevola accoglienza della presente richiesta, Le invio i più cordiali saluti.

 

                                                                                    Il Presidente

                                                                                     Prof. Giuseppe Sperlinga

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IL CIELO DI GIUGNO 2020

NEL CIELO DI GIUGNO BRILLA LO SCORPIONE

DUE ECLISSI, IL SOLSTIZIO ESTIVO E LE CONGIUNZIONI LUNA-PIANETI

Due eclissi, una lunare di penombra (il 5) e una anulare di Sole (il 21, visibile solo nel Centro-Sud e per giunta sarà parziale); il solstizio d’estate (il 20); alcune belle congiunzioni tra la Luna e i pianeti: ecco cosa ci riserva il cielo di giugno

Per saperne di più sulle due eclissi, come di consueto, ci siamo rivolti al dott. Piero Massimino, dell’Inaf-Osservatorio Astrofisico di Catania, il quale ci ha fornito i seguenti dati in ora locale per un osservatore posto alla latitudine di Catania. Cominciamo con l’eclissi penombrale di Luna del 5 giugno: inizio ore 19.46, con la Luna molto bassa sull’orizzonte; massimo dell’eclissi alle 21.25 (altezza 11°22’, azimut SE 129°42’, magnitudine penombra 0,56); fine del fenomeno alle ore 23.04 con l’argenteo satellite terrestre a 24° di altezza. Un’eclissi penombrale di Luna si verifica quando il nostro pianeta si trova sulla stessa retta fra il Sole e la Luna, con i tre corpi celesti allineati perché la Luna occupa uno dei due punti di intersezione dei piani orbitali terrestre e lunare, i cosiddetti “nodi”. La Luna, dunque, è in fase di plenilunio. Durante una eclissi di questo tipo, il nostro satellite naturale attraversa uno dei due coni che la Terra proietta nello spazio, quello di penombra, che è più esterno del cono d’ombra. È un fenomeno poco appariscente rispetto alle eclissi totali o parziali di Luna, che invece si verificano quando il satellite s’immerge in tutto o in parte nel cono d’ombra della Terra. Si avrà, infatti, soltanto un impercettibile abbassamento della luce lunare, il disco lunare apparirà leggermente ombrato, come una velatura provocata da masse nuvolose diffuse. Pur non essendo uno spettacolo non paragonabile all’eclissi totale, non mancherà di incuriosire chi ama scrutare il cielo. Quella del 5 giugno sarà la seconda eclissi penombrale di Luna di quest’anno (la prima si è verificata lo scorso 10 gennaio), poi ce ne saranno altre due, il 5 luglio (alle 6.30 del mattino) e il 30 novembre, quest’ultima, però, non sarà visibile dall’Italia.

Vediamo adesso i dati in ora locale per l’eclissi anulare di Sole (sarà parziale per l’Italia meridionale) del 21 giugno, relativi sempre a un osservatore posto a Catania, fornitici dal dott. Massimino: primo contatto alle ore 6.55, altezza 12.9°, azimut 70.2°; fase centrale alle 7.26, altezza 18.6°, azimut 74.3° (magnitudine 0.125); ultimo contatto alle 7.57. altezza 24.7°, azimut 78.5°. Si tratta di una spettacolare eclissi solare anulare, la quale differisce dall’eclissi totale poiché la Luna non oscurerà completamente il disco solare, dal momento che il nostro unico satellite naturale si troverà contemporaneamente sia nel nodo sia alla massima distanza dalla Terra (apogeo), di conseguenza il Sole non risulterà del tutto eclissato, ma sarà oscurato solo nella parte centrale, che sarà circondata da un autentico anello di fuoco. La fase anulare sarà visibile in Africa, Arabia Saudita, India, Cina e Oceano Pacifico. L’ultima eclissi anulare di Sole si era verificata il 26 dicembre dell’anno scorso e la poterono ammirare in Indonesia e nel Pacifico. In Sicilia, per godere dello spettacolo di una eclissi di Sole dovremo aspettare il 12 agosto 2026, ma soprattutto il 2 agosto del 2027, quando si verificherà quella che tutti definiscono “l’evento astronomico del millennio”, perché l’eclissi, quel giorno, interesserà tutto il Mediterraneo e sarà totale a Lampedusa (i turisti arriveranno a frotte) e del 98% in Sicilia. Non è superfluo ricordare che per osservare in sicurezza le eclissi di Sole occorre proteggere gli occhi senza far ricorso a soluzioni fai da te tipo lastre di vetro affumicate o code di vecchie pellicole, il rischio di danneggiare la retina non va sottovalutato, pena la cecità nei casi più gravi. Occorre prendere le giuste precauzioni utilizzando gli appositi occhialini oppure vetri da saldatore con protezione 14. Se si utilizzano telescopi, binocoli e fotocamere occorre schermarli con un filtro chiamato “Mylar”, in vendita nei negozi di ottica specializzati in strumenti astronomici, che consiste in un foglio composto da due sottili strati di plastica separati da un foglietto di alluminio. In ogni caso, mai osservare l’eclissi solare totale o parziale che sia a occhio nudo o, peggio, attraverso un telescopio o binocolo.

Quest’anno, il solstizio estivo cade alle 23.44 del 20 giugno. Sarà il giorno col dì più lungo e la notte più corta dell’anno (a Catania, il dì dura 14 ore e 31 minuti, cui bisogna aggiungere la luce crepuscolare dell’alba e del tramonto), a mezzogiorno il Sole raggiunge la massima altezza sul piano dell’orizzonte, che ovviamente varia a seconda della latitudine: 68° a Milano, 71,5° a Roma, A Milano l’altezza massima è 68° (3° 30′ più basso rispetto a Roma), a Catania è di 75°56’, i raggi solari saranno allo zenit su tutte le località che si trovano sul Tropico del Cancro (la cui denominazione dovrebbe essere mutata in “Tropico dei Gemelli” visto che, a causa della precessione degli equinozi, il Sole solstiziale si trova proiettato nella costellazione dei due Dioscuri), il circolo di illuminazione includerà interamente l’Artico, dove il Sole non sorgerà né tramonterà, ed escluderà l’Antartide.

Rapido sguardo ai pianeti. Mercurio è individuabile molto basso nel cielo occidentale, dove tramonta un’ora e tre quarti dopo il Sole agli inizi del mese (il 4 sarà a 23°36’ che è la massima distanza angolare dal Sole). Venere nei primi giorni del mese sarà inosservabile, ma nella seconda parte del mese sarà Lucifero, l’astro più brillante del mattino che precede di un paio di ore il sorgere del Sole. Il pianeta rosso Marte continua a essere visibile nella seconda parte della notte, a Sud-Est.  Il gigantesco Giove sarà sempre più basso sull’orizzonte sud-orientale sin dalla mezzanotte. Il vero Signore degli anelli, Saturno, sorge un po’ più tardi di Giove. Urano è osservabile a oriente prima che sorga il Sole. Nettuno, infine, è osservabile a Sud-Est, nella seconda parte della notte. Verso la mezzanotte tra l’8 e il 9, nel cielo sud-orientale, spiccherà in cielo un tris d’astri spettacolare formato dalla Luna e da Giove e Saturno. Per i nottambuli segnaliamo la congiunzione tra la Luna e Marte nella seconda parte della notte tra il 12 e il 13 giugno e per chi ama alzarsi presto quella tra l’argenteo satellite terrestre e Venere prima dell’alba del 19 giugno.

Nella tarda serata, nel cielo sud-orientale, domina lo Scorpione, una delle poche costellazioni zodiacali la cui silhouette è verosimile all’animale cui si riferisce, con le tre stelle a destra che rappresentano le chele protese dell’aracnide, il cui cuore è rappresentato dall’inconfondibile luminosa supergigante rossa Antares. Poi vi sono le altre stelle che formano il resto del corpo, con la lunga coda all’estremità della quale vi è Shaula, che in arabo significa pungiglione, aculeo, una stella tripla che occupa il ventiquattresimo posto tra gli astri più luminosi della volta celeste.

GIUSEPPE SPERLINGA

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TRENTADUE VEICOLI ABBANDONATI NELLE STRADE DI CANALICCHIO

Il quartiere di Canalicchio è un led rosso lampeggiante che denuncia l’impressionante stato di degrado in cui versa tutta la città di Catania.
Girando a piedi per le strade del quartiere ho contato: 1) ben 32 veicoli a quattro ruote abbandonati (ma chissà quanti altri saranno sfuggiti alla conta); 2) una miriade di micro discariche attorno ai cassonetti della spazzatura che ritornano subito dopo essere stati bonificati; 3) cassonetti sempre pieni di ogni sorta di rifiuti, maleodoranti al punto da rendere l’aria circostante irrespirabile; 4) spazzatura ordinaria arricchita dalla inquietante presenza di mascherine e guanti di plastica gettati da irresponsabili oltre che incivili. E mi fermo qui.
Il quotidiano La Sicilia di oggi pubblica un articolo a firma di chi scrive in cui è denunciata la presenza nelle strade di Canalicchio di auto abbandonate da anni e qual è il loro potenziale pericolo per i cittadini e per l’ambiente.
Buona lettura!

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TRENTUNO VEICOLI ABBANDONATI NELLE STRADE DI CANALICCHIO

Sono trentadue i veicoli dismessi abbandonati nelle strade di Canalicchio: trenta auto di vari modelli e cilindrate più due furgoni, quasi tutti con gomme afflosciate, “dimenticati” dai proprietari nelle strade ricadenti all’interno del quadrilatero grosso modo delimitato dalle vie Leucatia, Cardinale Nava, Pietra dell’Ova, Ferro Fabiani, Pietro Novelli. Abbiamo percorso a piedi le vie, gli slarghi e le piazze di quasi tutto il quartiere ed è emersa questa incredibile quantità di veicoli abbandonati sul suolo pubblico sia perché non più funzionanti sia perché erano vecchi e malridotti, molti dei quali circondati da una rigogliosa vegetazione spontanea.

Nella sola via Taranto (una traversa di via Pietra dell’Ova, lunga 150 metri), da anni, vi sono parcheggiati due furgoni e ben sette auto. Altre cinque auto si trovano nell’ultimo tratto di via Generale di San Marzano, là dove la strada finisce a fondo cieco. E, ancora, sono quattro i mezzi depositati da tempo in via Ferro Fabiani tra via Pedara e via Archimede Cirinnà. L’incredibile elenco prosegue con le auto delle vie Di Giorgio, Giuseppe Arimondi, Brindisi e Puglia, ciascuna con le carcasse di due auto. Un veicolo abbandonato, infine, si trova in ciascuna delle seguenti strade: Otranto, Concetto Marchesi, Pedara, Noto, Pietra dell’Ova e Tito Manlio Manzella.

Sarebbe interessante conoscere se i proprietari di queste auto da rottamare continuano a pagare la tassa di proprietà e l’assicurazione, ma accertarlo è un compito che spetta alla Polizia municipale di Catania. Il timore degli abitanti è legittimo: continuando di questo passo, il decoro urbano del quartiere va a farsi benedire, perché è concreto il rischio di vedere le strade di Canalicchio trasformate in un cimitero di automobili a cielo aperto, le quali sono sempre più sporche e i cassonetti trasformati in micro discariche abusive dai pendolari incivili provenienti dai vicini paesi di Tremestieri, San Gregorio e S. Agata li Battiati.

Ma torniamo alle auto abbandonate. È un illecito occupare per anni il suolo pubblico sottraendolo alla sosta delle auto di proprietari in regola? Quando un’auto di può considerare “abbandonata”? Le leggi vigenti stabiliscono che un’auto si considera abbandonata quando è priva di targa, è inutilizzabile perché priva di ruote, dei sedili, del motore, delle portiere; se intralcia la circolazione. Per il Codice della strada, qualsivoglia veicolo non può circolare o sostare su strade e aree pubbliche se privo di assicurazione, pena una sanzione per il proprietario, che è rintracciabile attraverso la targa o il numero di telaio. E se l’auto è priva di targa? In tal caso, se risulta impossibile risalire al proprietario, i Vigili urbani, dopo aver controllato che il mezzo non sia stato rubato, provvederanno alla rimozione della carcassa. Tutto ciò perché la legge considera le auto abbandonate sul suolo pubblico “rifiuti speciali pericolosi” e, come tali, sono destinati ai centri di smaltimento autorizzati.

C’è da dire, infine, che colui il quale abbandona un’auto su strada pubblica commette il reato penale di inquinamento ambientale, perché il veicolo dismesso contiene sostanze liquide pericolose (carburante, olio motore e freni, liquidi refrigeranti nel radiatore), batteria, pneumatici, per la rimozione dei quali occorrono particolari attrezzature per lo smontaggio e l’impiego di operai specializzati.

GIUSEPPE SPERLINGA

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