Stelle e Ambiente

Mese: settembre 2020

IN RICORDO DI LUIGI PRESTINENZA

IN RICORDO DI LUIGI PRESTINENZA

 Il quotidiano “La Sicilia” di oggi, venerdì 11 settembre 2020, pubblica la consueta rubrica mensile di divulgazione astronomica dedicata al cielo di settembre ideata e curata per oltre mezzo secolo dal giornalista-astrofilo Luigi Prestinenza, che firmava con lo pseudonimo “Scrutator”, moltissimi lettori del giornale lo ricordano ancora.

Prestinenza è scomparso il 4 settembre del 2012, all’età di 83 anni. Autentico maestro di giornalismo sportivo e scientifico, alla cui scuola si formarono bravi professionisti tuttora in attività, fu Caposervizio allo Sport del quotidiano “La Sicilia” di Catania, inviato speciale alle Olimpiadi e ai campionati europei e mondiali di calcio.

Ma Prestinenza fu, soprattutto, un uomo di Cultura, perché visse e si nutrì di Cultura che spaziava dal versante storico-artistico-letterario a quello scientifico e tecnologico, riconoscendo alla Scienza il ruolo di corrente di pensiero e polemizzando con coloro i quali sostenevano l’assurdo e insensato dualismo delle “due Culture”. Forte di una solida preparazione scientifica pur avendo seguito studi universitari storici e filosofici (superò tutte le materie con il massimo dei voti, tranne due con 29, ma non trovò mai il tempo di andare a discutere la tesi pronta!), divenne un brillante e preparatissimo giornalista scientifico, collaborò con l’inserto “Tuttoscienze” de “La Stampa” di Torino, le riviste di divulgazione astronomica “L’Astronomia” e “Le Stelle”, fondate dai suoi due carissimi amici Corrado Lamberti e la celebre astrofisica triestina Margherita Hack. Negli anni Novanta del secolo scorso ideò e curò la pagina di divulgazione scientifica a cadenza settimanale del quotidiano “La Sicilia”.

Prestinenza fu pure un fine scrittore, autore di due libri a carattere astronomico: “Marte tra storia e leggenda” (Utet) e “La scoperta dei pianeti” (Gremese), entrambi con la prefazione di Margherita Hack. Ne “La scoperta dei pianeti” mi ha coinvolto sia come critico revisore dei testi, sia come curatore di tre box specialistici e di approfondimento.

Fondò due associazioni aventi finalità divulgative in campo astronomico: il Gruppo astrofili catanesi (1977) e “Stelle e Ambiente” (2003). Divulgò l’Astronomia nelle scuole di ogni ordine e grado dell’intera Sicilia, andava ovunque l’invitassero presidi e professori, tenne migliaia di conferenze e seminari, partecipò a convegni in tutto il territorio nazionale, collaborò assiduamente con l’Osservatorio Astrofisico di Catania.

Fu nemico giurato di tutto ciò che è fondato su basi irrazionali e fantasiose, come l’Astrologia e l’Ufologia, che spacciano fandonie per verità rivelate.

Fu contrario alla politica culturale dell’effimero e si batté affinché la città di Catania si dotasse di due strutture culturali stabili fondamentali per la divulgazione scientifica: il Museo civico di Storia Naturale e il civico Planetario dotato di un Osservatorio astronomico. In questa dura lotta trentennale contro l’ignavia e l’incultura dei politici che hanno amministrato la città etnea, fu affiancato dagli indimenticabili professori Marcello La Greca e Salvatore Cucuzza Silvestri, oltre che da moltissimi altri docenti universitari e uomini di cultura, tra i quali chi scrive, ma i risultati, purtroppo, non giunsero mai e Catania, città capoluogo alle falde del maggior vulcano attivo europeo, l’Etna, continua a essere senza un museo vulcanologico, i pochi musei scientifici sono strutture universitarie sempre chiuse al pubblico e ai turisti nei giorni festivi e pressoché sconosciute.

Nonostante fosse impegnato su più fronti culturali, Prestinenza non smise mai di osservare il cielo sia dal suo piccolo osservatorio di Pedara (un casotto con tetto scorrevole all’interno del quale poteva disporre di due pregevoli telescopi con i quali non trascurava mai di osservare Marte, il pianeta rosso che albergò sempre nel suo cuore), sia – soprattutto negli ultimi tempi della sua vita – dal balcone di casa di via Eleonora d’Angiò.

Per il prezioso contributo alla crescita culturale di Catania, a Luigi Prestinenza andrebbero dedicate una strada o piazza cittadine e il riconoscimento della Laurea Honoris Causa alla memoria da parte dell’Università degli Studi di Catania.

Giuseppe Sperlinga

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LUNA, GIOVE E SATURNO: INCONTRO NEL CIELO DELL’EQUINOZIO

LUNA, GIOVE E SATURNO: INCONTRO NEL CIELO DELL’EQUINOZIO

Il 1° settembre s’inizia l’autunno meteorologico, mentre quello astronomico comincia il giorno dell’equinozio (dal latino aequinoctium=notte uguale), che quest’anno cade alle 15.31 (ora legale estiva) del 22, giorno in cui la Terra raggiunge il “punto omega o punto della Bilancia”, che è l’intersezione del piano dell’eclittica con quello dell’equatore celeste. Quel giorno, i raggi solari saranno allo zenit all’equatore, il Sole sorge esattamente a est e tramonta esattamente a ovest, il circolo d’illuminazione “taglierà” i due poli a metà, la durata del dì e della notte sarà uguale, senza tener conto della luce crepuscolare dell’alba e del tramonto, al Polo Nord s’inizierà una lunga notte che durerà sei mesi, mentre al Polo Sud avrà inizio un lungo giorno in cui il Sole non tramonterà rimanendo sopra l’orizzonte. Nel cielo fossile degli astrologi, il Sole continua entrare nel segno della Bilancia, anche se in realtà le cose non stanno più così, perché la nostra stella diurna il 16 settembre passa dalla costellazione del Leone a quella della Vergine. Ciò vuol dire che coloro i quali si ostinano a credere nelle fandonie ammannite quotidianamente dall’astrologia, seguiteranno a leggere l’oroscopo di un altro, ammesso che corpi celesti lontanissimi possano esercitare presunti influssi benigni o maligni sugli esseri umani. All’inizio del mese, le giornate durano 12 ore e 54 minuti (il Sole sorge alle 6,33 e tramonta alle 19,26). Il 30 settembre s’accorciano di un’ora e due minuti, perché il Sole sorge 21 minuti dopo e tramonta con 40 minuti di anticipo. La Luna sarà al plenilunio il 2, all’ultimo quarto il 10, novilunio il 17 e al primo quarto il 24.

L’elusivo pianeta Mercurio difficilmente si potrà osservare, perché si manterrà sempre basso sul piano dell’orizzonte occidentale. Il luminoso Venere splenderà nella seconda parte della notte, sarà “Lucifero” visibile all’alba nel cielo orientale. Il pianeta rosso Marte sarà osservabile anch’esso nel cielo orientale già in prima serata e per l’intera notte. I giganteschi Giove e Saturno domineranno il cielo meridionale nella prima parte della notte.  Urano e Nettuno, infine, saranno osservabili al telescopio per gran parte della notte, compaiono nel cielo orientale e si spostano verso sud. Queste le congiunzioni nel cielo di settembre: alle 22.30 del 5, verso est, la Luna in fase calante con Marte; il giorno dopo, alle 6, l’abbraccio tra i due corpi celesti sarà ancor più stretto e, alle 7.56, gli osservatori alla latitudine di Catania potranno assistere all’occultazione del pianeta rosso; alle 5 del 13, guardando sempre a est, Venere con il celebre ammasso stellare del Presepe o Mangiatoia o Alveare (M44), visibile anche a occhio nudo, fu il primo oggetto celeste osservato da Galileo col suo telescopio; il 14, stessa ora, la sottile falce di Luna calante con Venere; la sera del 18, i più tenaci osservatori potranno tentare di individuare il sottilissimo falcetto di Luna crescente con il minuscolo Mercurio; da non perdere, infine, alle 23 del 24 e del 25, la spettacolare congiunzione a tre della Luna al primo quarto con i luminosi Giove e Saturno.

Il cielo di settembre è ancora quello estivo, con le costellazioni dello Scorpione, Sagittario, Ofiuco ed Ercole più spostate verso ovest, dove si avviano a tramontare pure Boote con la luminosa Arturo e il Triangolo Estivo, ai vertici del quale vi sono le brillanti Vega della costellazione della Lira, Altair dell’Aquila e Deneb del Cigno. Dalla parte opposta, nel cielo orientale, fa capolino la debole costellazione dell’Ariete. Nel cielo meridionale vi sono le poco appariscenti costellazioni del Capricorno, dell’Acquario e dei Pesci: si tratta di raggruppamenti stellari molto estese, ma prive di stelle brillanti che ne rendono difficoltosa l’individuazione. Sopra i Pesci, spicca il Quadrato di Pegaso, un vertice del quale è occupato da una stella della costellazione di Andromeda, alla cui sinistra e in basso si mostra il Perseo riconoscibile per la sua forma a “Y” rovesciata. Dirigendo lo sguardo verso nord, troviamo le costellazioni circumpolari, quelle che non sorgono e non tramontano e ruotano attorno alla Stella Polare dell’Orsa Minore: l’inconfondibile “W” di Cassiopea con accanto la “casetta” del suo augusto sposo, Cefeo, e, a nord-ovest, il Gran Carro dell’Orsa Maggiore.

Concludiamo ricordando il giornalista-astrofilo Luigi Prestinenza, scomparso il 4 settembre del 2012, fondatore e curatore di questa rubrica di divulgazione astronomica oltre mezzo secolo fa.

GIUSEPPE SPERLINGA

 

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LAZZARO SPALLANZANI, UNO SCIENZIATO PROTEIFORME

LAZZARO SPALLANZANI, UNO SCIENZIATO PROTEIFORME

L’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus cinese ha fatto balzare prepotentemente alla ribalta il nome di Lazzaro Spallanzani. Nella durissima lotta contro il micidiale Covid-19, infatti, è impegnato in prima linea uno dei ventuno istituti pubblici italiani di ricovero e cura a carattere scientifico, che poi altro non sono che veri e propri ospedali nei quali si svolgono attività di ricerca clinica e di gestione dei servizi sanitari: l’Istituto nazionale per le malattie infettive intitolato alla memoria di Lazzaro Spallanzani, che ha sede a Roma. Tutte le città italiane gli hanno dedicato scuole, strade, viali, piazze, tranne la città di Catania, che gli ha intitolato un vicolo cieco lungo appena 25 metri, in via Nuovalucello. La sua città natale, Scandiano, in provincia di Reggio Emilia, lo ricorda con un monumento e un osservatorio astronomico con tre cupole. Sempre in campo astronomico, in suo onore sono stati denominati un asteroide, “10350 Spallanzani”, scoperto nel 1992 dall’astronomo belga Eric Walter Elst, un cratere sul pianeta Marte e uno sulla Luna. A lui, gli zoologi, hanno dedicato una specie di Anellide Polichete, l’elegante spirografo Sabella spallanzanii.

Ma chi era Lazzaro Spallanzani? Di quali glorie scientifiche si coprì? Certamente, non fu un Carneade qualsiasi, ma fu un grande scienziato vissuto nel secolo dei Lumi. Nacque nel 1729 e, a quindici anni, entrò nel collegio dei gesuiti di Reggio Emilia, dove seguì i corsi di Filosofia e di Retorica. Studiò all’Università di Bologna, dove, dopo aver abbandonato gli studi giuridici che aveva inizialmente intrapreso, si dedicò alla Filosofia naturale e, nel 1753 (o 1754), conseguì la laurea in Biologia. Nel 1762 prese gli ordini sacerdotali e, l’anno successivo, si trasferì a Modena, dove insegnò Filosofia e Retorica all’Università e Matematica e Greco nel Collegio San Carlo. Nel novembre del 1769 fu nominato professore di Storia Naturale all’Università di Pavia, città in cui visse e operò per trent’anni, fino al giorno della sua morte, avvenuta nella notte tra l’11 e il 12 febbraio del 1799.  A Pavia, la sua vita fu divisa fra la docenza, la direzione del Museo di Storia naturale e i viaggi scientifici, alcuni dei quali avventurosi, come quello che effettuò, tra il 1785 e il 1786, a Costantinopoli e, due anni dopo, nelle Due Sicilie, di cui scrisse il volumetto “Viaggi alle due Sicilie”, i primi due capitoli del quale sono dedicati alla “Visita al Vesuvio” e alla “Visita al Monte Etna” (soggiornerà per trentacinque giorni alle isole Eolie, come ricorda una epigrafe a Lipari, perché il bastimento francese diretto a Messina su cui era imbarcato doveva fare un carico di pomice eoliana). Spallanzani non può fare a meno di paragonare i due vulcani: “Quantunque il Vesuvio per se stesso considerato debba dirsi un insigne Vulcano (…), pur nondimanco ove vogliasi all’Etna paragonare, perde assaissimo (sic! n.d.r.) di sua fama, e si rimpicciolisce per guisa, che oserei quasi nomarlo un Vulcano da Gabinetto”. Dopo, non trascura di ricordare la devastante eruzione del 1669, la cui lava “(…) squarciato un fianco dell’Etna, inondò con infinita rovina uno spazio di quattordici miglia in lunghezza, sopra tre o quattro in larghezza, e soperchiate le mura di Catania, e coperta una parte di lei, andò in fine a precipitarsi nel mare (…). Esaminati per qualche tempo i contorni di Catania col Cavaliere Gioeni (…) mi avviai la mattina del 3 di  settembre al Monte Etna, accompagnato tra gli altri da Carmelo Pugliesi (o Puglisi? n.d.r.) e Domenico Mazzagaglia (o Mazzaglia? n.d.r.), due guide peritissime di quelle strade”. Dopo l’ascesa ai Monti Rossi (“e penai a salirlo, per il profondarsi in essa fino al ginocchio il piede”), Spallanzani esplora minutamente “questo Monte bivertice su la cima” e ne descrive le lave. “Prima che finisse il giorno – continua Spallanzani – giunsi alla Grotta delle Capre, tanto ricantata, quantunque non dia che un meschino alloggiamento di foglie, e di paglia per restarvi la notte, ma che nondimanco è il solo per chi desidera trovarsi di buon mattino alla cima dell’Etna, che ne è distante otto miglia”. La grotta delle Capre suscitò l’interesse di Spallanzani e, dopo aver precisato che, prima di lui, l’hanno “così chiamata per chiudervi dentro le Capre ne’ tempi piovosi (…), ma nessuno ha indicata la natura della lava formatrice di questa Spelonca (…) a base di roccia cornea, che ha grana terrosa, e che quantunque non iscarseggi di picciole vacuità, ha notabile durezza”, dà una  singolare spiegazione sull’origine della cavità, che “non è già lavorio delle acque piovane, ma sibbene un prodotto dei gas elastici delle lave quando eran liquide, i quali in esse cagionato hanno quel vuoto, siccome altrove per egual modo generato ne hanno altri assaissimi, di che forse parleremo a miglior luogo”. Lasciata la “Regione mezzana lussureggiante di vegetazione”, Spallanzani narra la prosecuzione del suo viaggio verso il cratere centrale dell’Etna: “(…) m’inoltrai nella Sublime, ignuda di piante, salvo diversi cespugli raramente seminati (…). Io era a quattro miglia dagli orli del gran cratere, quando cominciai a passare dalle tenebre della notte alla luce del giorno (…). Allora fu che cominciarono a cadermi sott’occhi gli effetti della eruzione dell’Etna, avvenuta nel Luglio del 1787, e accuratamente descritta dal Cavaliere Gioeni, voglio dire un velo di nere scorie sottili, ma che a poco a poco che mi accostava al sommo della Montagna si facevan più grosse, e componevano uno strato di molti palmi (…)”. Alla fine, Spallanzani, riesce a raggiungere il cratere centrale, la giornata è limpida “ridente era il cielo, liberato dalle nevi il Monte, non incomoda la temperatura dell’atmosfera, marcando il termometro gradi 7 sopra il gelo, quando colà giunsi (…)”.

Ma torniamo a Spallanzani ricercatore di laboratorio. Fu uno scienziato proteiforme. I suoi orizzonti scientifici furono molto vasti e abbracciarono la Biologia, Geologia, Mineralogia, Chimica, Fisica, Meteorologia, Climatologia, Idrologia e Paleontologia. Fu, insomma, un vero “filosofo della Natura”, come si diceva a quel tempo. Ma, per le sue importanti ricerche e scoperte, è unanimemente riconosciuto come il padre della Biologia moderna. Scoprì il succo gastrico e dimostrò come il processo digestivo non consista solo nella semplice triturazione meccanica del cibo, ma anche in un processo chimico che avviene nello stomaco, necessario per consentire l’assorbimento delle sostanze nutritive. Effettuò ricerche sulla fecondazione artificiale usando uova di rana e di rospo. Sperimentò la rigenerazione di organi tagliando lombrichi, idre, salamandre, girini e lumache. Studiò la criptobiosi, che è uno stato di vita con assenza di metabolismo nel quale entrano alcuni organismi (Tardigradi, per esempio) se si trovano in condizioni ambientali avverse. Dimostrò sperimentalmente l’esistenza dei capillari e degli scambi gassosi respiratori nel sangue. Si occupò del volo dei pipistrelli, i quali dopo averli accecati con una poltiglia di vischio vide che continuavano a volare al buio, ma non erano in grado di orientarsi se gli tappava le orecchie, facendogli ipotizzare che questi mammiferi volatori fossero dotati di “un nuovo senso”, supposizione che sarà smentita dalle ricerche del giovane naturalista svizzero Louis Jurine, il quale riuscì a dimostrare che era l’udito l’organo che consentiva la localizzazione di ostacoli da evitare, prede da catturare e predatori da cui sfuggire (saggiamente, Spallanzani ne prese atto “quantunque dapprima pensassi diversamente”).

Tra i numerosi esperimenti e scoperte di grande importanza scientifica sicuramente meritano un posto di primissimo piano quelli che consentirono a Spallanzani di sferrare un colpo mortale alla teoria della generazione spontanea o abiogenesi. Cominciò a occuparsene nel 1761 e, dopo quattro anni di ricerche, riuscì a determinarne l’assoluta infondatezza pubblicando i risultati nel “Saggio di osservazioni Microscopiche sul Sistema della Generazione dei Signori di Needham e Buffon”. Ma ricostruiamo i fatti sin dall’inizio. Fino al XVII secolo, era opinione diffusa che la vita potesse nascere spontaneamente dalla materia inanimata, vale a dire che gli esseri viventi potessero nascere dal fango o da materia organica in putrefazione: crini di cavallo che se cadevano in una pozzanghera si animavano tramutandosi in vermi, un pezzo di carne dimenticato sul davanzale di una finestra generava i vermi, e altre amenità simili discorrendo. Nel 1668, questa assurda teoria fu confutata da un altro gigante della Biologia: il medico e naturalista toscano Francesco Redi, che dimostrò sperimentalmente che i vermi altro non erano che larve di mosche. Argomentò, Redi, che le larve nascevano solo là dove le mosche avevano potuto depositare le uova. Chiudendo ermeticamente il recipiente con la carne, infatti, alle mosche veniva impedito di deporre le loro uova. La questione sembrava archiviata, nonostante le obiezioni dei detrattori di Redi, secondo i quali la carne sigillata nel contenitore non brulicava di vermi perché la chiusura ermetica aveva impedito l’accesso di un inafferrabile “spirito vitale”. Qualche anno dopo, però, la generazione spontanea tornò ancora in auge e balzò al centro delle discussioni filosofico-scientifiche. L’olandese Antoni van Leeuwenhoek, tra il 1673 e il 1677, con l’uso del microscopio autocostruito scopre gli “animalucci delle infusioni”, piccoli organismi (Protozoi, Rotiferi, Nematodi, Briozoi) che si sviluppano nelle infusioni vegetali. L’inglese John Needham, che era un convinto sostenitore della generazione spontanea, nel corso dei suoi esperimenti faceva bollire per breve tempo una miscela brodosa e, dopo averla raffreddata in un contenitore aperto a temperatura ambiente, sigillava le bottiglie. Dopo pochi giorni, si accorgeva che nei contenitori erano presenti dei microbi, a dimostrazione che esisteva una “forza vitale” che induceva una generazione spontanea. I suoi esperimenti non convinsero Lazzaro Spallanzani, che con una serie di esperimenti sottopose a una prolungata bollitura le infusioni vegetali e animali. Sigillando accuratamente i contenitori, in essi non era presente alcun microrganismo, dimostrando così l’inesistenza dello “spirito vitale”. Ciò nonostante, agli inizi dell’Ottocento, ancora una volta la teoria della generazione spontanea rialza la cresta. Tra i suoi più convinti sostenitori, i francesi Étienne Geoffroy Saint-Hilaire e Jean-Baptiste de Lamarck, entrambi convinti che le forme di vita più semplici potevano essere generati da materia inanimata. Il dibattito scientifico infuriò e quando divenne troppo vivace, l’Accademia delle Scienze di Parigi mise in palio un premio da assegnare allo scienziato che fosse stato in grado di scrivere la parola fine sull’argomento. Il premio fu vinto, nel 1864, dal grande biologo francese Louis Pasteur, che con un semplice esperimento riuscì a mettere tutti d’accordo sull’inesistenza della generazione spontanea. Per i suoi esperimenti, Pasteur utilizzò delle ampolle di vetro alcune col collo dritto, altre col collo forgiato a oca. Entrambe le ampolle erano lasciate aperte, in modo che sia l’aria sia il fantomatico “spirito vitale” potessero liberamente transitare. Poi, bollì a lungo il contenuto dei matracci in modo da sterilizzarne il contenuto e dimostrò che i microrganismi erano presenti soltanto nelle ampolle col collo dritto, che permetteva agli agenti contaminanti di depositarsi nel brodo di coltura, mentre in quelle col collo a “S” risultavano incontaminate perché le spore batteriche non superavano la curvatura. Il commento di Pasteur alla Sorbona di Parigi fu lapidario: “Mai la teoria della generazione spontanea potrà risollevarsi dal colpo mortale inflittole da questo semplice esperimento”.

GIUSEPPE SPERLINGA

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Lazzaro Spallanzani (ou Spalanzani, 1729-1799), biologiste italien, faisant des expŽriences sur la digestion chez les oiseaux. d'aprs "La Ciencia y sus Hombres par Louis Figuier" Barcelona 1881

Lazzaro Spallanzani (ou Spalanzani, 1729-1799), biologiste italien, faisant des expŽriences sur la digestion chez les oiseaux. d’aprs “La Ciencia y sus Hombres par Louis Figuier” Barcelona 1881

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