CAPITOZZATURE NO STOP A CATANIA E PROVINCIA: DECAPITATI I LIGUSTRI A FASANO DI GRAVINA
CATANIA – CAPITOZZATI I PLATANI DI VIA VI APRILE
RIAPRIRE LA GROTTA DI VIA CECCHI E OSSERVATORIO ASTRONOMICO “LUIGI PRESTINENZA” A VALVERDE
Purtroppo, la recrudescenza dei contagi del Covid-19 ci ha costretto a fermare sia l’intervento del restauro dell’ottocentesco orologio solare a ore italiche di Valverde, sia l’installazione del nuovo orologio solare sempre a ore italiche progettato dall’ottimo e fraterno amico geometra Michele Trobia, interventi che saranno ripresi appena la situazione tornerà quanto meno a quella dell’inizio dell’estate, insieme con la donazione dei libri che costituiscono la biblioteca Prestinenza per volontà della sorella, professoressa Marialuisa Prestinenza
TORNERA’ A FUNZIONARE L’OTTOCENTESCO OROLOGIO SOLARE A ORE ITALICHE DI VALVERDE (CT)
L’OPPOSIZIONE DI MARTE NEL CIELO DI OTTOBRE 2020
CIELO DI OTTOBRE CON MARTE IN OPPOSIZIONE E CINQUE FASI LUNARI
Sarà Marte il vero protagonista del cielo di ottobre. Il pianeta rosso, infatti, sarà osservabile per tutta la notte e la sera del 13 sarà in opposizione, vale a dire in direzione opposta al Sole. In altre parole, Sole, Terra e Marte saranno allineati e, avendo il pianeta rosso superato sette giorni prima il perielio (62 milioni di chilometri dalla nostra stella diurna), si mostrerà più grande del solito e brillerà come un grosso rubino, sarà talmente luminoso da superare persino Giove, entrambi superati soltanto da Venere, che sarà l’oggetto più brillante del cielo, a oriente, prima dell’alba. Marte raggiunge la minima distanza dal Sole (il perielio, appunto) ogni 26 mesi. Quella del 13 ottobre, però, non sarà una opposizione come le altre in passato, perché Marte avrà un diametro angolare di 22,4 secondi d’arco, cioè appena due in meno della grande opposizione del 27 luglio 2018, quando il pianeta si trovò a 57,6 milioni di chilometri dal Sole. Cosa fare per seguire l’evento marziano è presto detto: al tramonto del Sole, vedremo sorgere Marte dalla parte opposta, nel cielo orientale, durante la serata lo vedremo spostarsi per culminare a Sud nelle ore centrali della notte e tuffarsi a occidente prima dell’alba. Per poter apprezzare le principali caratteristiche del pianeta rosso con un certo dettaglio, il bravo Walter Ferreri consiglia l’uso di un ingrandimento di almeno 200x, che può essere fornito, mantenendo una buona nitidezza e luminosità, da telescopi a lenti (rifrattori) da almeno 10-12 cm di diametro o da quelli a specchio (riflettori) da almeno 15 cm. Gli appassionati del cielo non si lasceranno di sicuro sfuggire questa favorevole occasione per puntare verso Marte i loro telescopi e macchine fotografiche, perché la prossima volta un evento così favorevole capiterà nel 2035. Fosse ancora tra noi, il “marziano” Luigi Prestinenza (sempre attuale il suo volume “Marte tra storia e leggenda” con la prefazione della celebre astrofisica Margherita Hack edito nel 2004 dalla editrice Utet), la sera del 13, l’avremmo sicuramente trovato nel suo osservatorio privato di Pedara intento a scrutare il “suo” pianeta. Uno sguardo, adesso, agli altri pianeti e alla Luna. Mercurio sarà difficile da osservare, Saturno sarà visibile nella prima parte della notte, Urano e Nettuno sono osservabili per tutta la notte. In ottobre, si verificheranno cinque fasi lunari: due pleniluni l’1 e il 31, l’ultimo quarto il 10, il novilunio il 16 e il primo quarto il 23. La Luna del 31 ottobre, essendo la seconda Luna Piena del mese è detta “Luna blu”, la “Blue Moon” degli anglosassoni, i quali per indicare un evento raro popolarmente amano dire “once in a blu moon” (“una volta ogni luna blu”), quindi il nostro satellite naturale non muterà affatto il suo argenteo colore.
Nel cielo occidentale, sono ormai prossime al tramonto le costellazioni del Boote con la luminosa Arturo, l’Ofiuco (la tredicesima costellazione che non ha diritto di cittadinanza negli oroscopi) ed Ercole, nonché l’asterismo del Triangolo Estivo ai cui vertici vi sono Altair dell’Aquila, Vega della Lira e Deneb del Cigno. Dall’altra parte del cielo, a oriente, fa capolino il Toro con la rossa Aldebaran e le Pleiadi, teste di ponte delle costellazioni che domineranno il cielo invernale, mentre a sud spiccano i Pesci, l’Acquario, il Capricorno e il Sagittario che si avvia verso il tramonto. A nord, come di consueto, sono facilmente riconoscibili le costellazioni circumpolari che non sorgono e non tramontano: le due Orse, la “W” di Cassiopea, la “casetta” di Cefeo, il Grande Quadrato di Pegaso con accanto Andromeda con la celeberrima galassia spirale omonima M31, distante da noi 2,5 milioni di anni luce (un anno luce corrisponde a novemila miliardi e mezzo di chilometri), ha un diametro di circa 200.000 anni luce, contiene duecento miliardi di stelle, ed è l’unica visibile a occhio nudo, se osservata da località prive di inquinamento luminoso.
Concludiamo segnalando i due sciami meteorici che solcheranno il cielo di ottobre: sono le cosiddette “stelle cadenti” delle Draconidi, note anche come Giacobinidi, aventi il punto dal quale sembrano provenire tutte le scie (radiante) sito nella testa della costellazione del Dragone, visibili nelle ore serali tra l’8 e il 10 ottobre; le Orionidi, invece, sono visibili dal 2 ottobre al 7 novembre, ma il picco si verifica tra il 21 e il 22 ottobre. Lo sciame ha origine dal materiale lasciato dalla cometa di Halley e il suo radiante si trova nei pressi di Betelgeuse, la seconda stella più luminosa dopo Rigel della costellazione di Orione. Le meteore di questo sciame sfrecciano alla velocità di 250 mila chilometri orari con punte di 20 meteore all’ora durante il picco di attività.
GIUSEPPE SPERLINGA
IN RICORDO DI LUIGI PRESTINENZA
IN RICORDO DI LUIGI PRESTINENZA
Il quotidiano “La Sicilia” di oggi, venerdì 11 settembre 2020, pubblica la consueta rubrica mensile di divulgazione astronomica dedicata al cielo di settembre ideata e curata per oltre mezzo secolo dal giornalista-astrofilo Luigi Prestinenza, che firmava con lo pseudonimo “Scrutator”, moltissimi lettori del giornale lo ricordano ancora.
Prestinenza è scomparso il 4 settembre del 2012, all’età di 83 anni. Autentico maestro di giornalismo sportivo e scientifico, alla cui scuola si formarono bravi professionisti tuttora in attività, fu Caposervizio allo Sport del quotidiano “La Sicilia” di Catania, inviato speciale alle Olimpiadi e ai campionati europei e mondiali di calcio.
Ma Prestinenza fu, soprattutto, un uomo di Cultura, perché visse e si nutrì di Cultura che spaziava dal versante storico-artistico-letterario a quello scientifico e tecnologico, riconoscendo alla Scienza il ruolo di corrente di pensiero e polemizzando con coloro i quali sostenevano l’assurdo e insensato dualismo delle “due Culture”. Forte di una solida preparazione scientifica pur avendo seguito studi universitari storici e filosofici (superò tutte le materie con il massimo dei voti, tranne due con 29, ma non trovò mai il tempo di andare a discutere la tesi pronta!), divenne un brillante e preparatissimo giornalista scientifico, collaborò con l’inserto “Tuttoscienze” de “La Stampa” di Torino, le riviste di divulgazione astronomica “L’Astronomia” e “Le Stelle”, fondate dai suoi due carissimi amici Corrado Lamberti e la celebre astrofisica triestina Margherita Hack. Negli anni Novanta del secolo scorso ideò e curò la pagina di divulgazione scientifica a cadenza settimanale del quotidiano “La Sicilia”.
Prestinenza fu pure un fine scrittore, autore di due libri a carattere astronomico: “Marte tra storia e leggenda” (Utet) e “La scoperta dei pianeti” (Gremese), entrambi con la prefazione di Margherita Hack. Ne “La scoperta dei pianeti” mi ha coinvolto sia come critico revisore dei testi, sia come curatore di tre box specialistici e di approfondimento.
Fondò due associazioni aventi finalità divulgative in campo astronomico: il Gruppo astrofili catanesi (1977) e “Stelle e Ambiente” (2003). Divulgò l’Astronomia nelle scuole di ogni ordine e grado dell’intera Sicilia, andava ovunque l’invitassero presidi e professori, tenne migliaia di conferenze e seminari, partecipò a convegni in tutto il territorio nazionale, collaborò assiduamente con l’Osservatorio Astrofisico di Catania.
Fu nemico giurato di tutto ciò che è fondato su basi irrazionali e fantasiose, come l’Astrologia e l’Ufologia, che spacciano fandonie per verità rivelate.
Fu contrario alla politica culturale dell’effimero e si batté affinché la città di Catania si dotasse di due strutture culturali stabili fondamentali per la divulgazione scientifica: il Museo civico di Storia Naturale e il civico Planetario dotato di un Osservatorio astronomico. In questa dura lotta trentennale contro l’ignavia e l’incultura dei politici che hanno amministrato la città etnea, fu affiancato dagli indimenticabili professori Marcello La Greca e Salvatore Cucuzza Silvestri, oltre che da moltissimi altri docenti universitari e uomini di cultura, tra i quali chi scrive, ma i risultati, purtroppo, non giunsero mai e Catania, città capoluogo alle falde del maggior vulcano attivo europeo, l’Etna, continua a essere senza un museo vulcanologico, i pochi musei scientifici sono strutture universitarie sempre chiuse al pubblico e ai turisti nei giorni festivi e pressoché sconosciute.
Nonostante fosse impegnato su più fronti culturali, Prestinenza non smise mai di osservare il cielo sia dal suo piccolo osservatorio di Pedara (un casotto con tetto scorrevole all’interno del quale poteva disporre di due pregevoli telescopi con i quali non trascurava mai di osservare Marte, il pianeta rosso che albergò sempre nel suo cuore), sia – soprattutto negli ultimi tempi della sua vita – dal balcone di casa di via Eleonora d’Angiò.
Per il prezioso contributo alla crescita culturale di Catania, a Luigi Prestinenza andrebbero dedicate una strada o piazza cittadine e il riconoscimento della Laurea Honoris Causa alla memoria da parte dell’Università degli Studi di Catania.
Giuseppe Sperlinga
LAZZARO SPALLANZANI, UNO SCIENZIATO PROTEIFORME
LAZZARO SPALLANZANI, UNO SCIENZIATO PROTEIFORME
L’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus cinese ha fatto balzare prepotentemente alla ribalta il nome di Lazzaro Spallanzani. Nella durissima lotta contro il micidiale Covid-19, infatti, è impegnato in prima linea uno dei ventuno istituti pubblici italiani di ricovero e cura a carattere scientifico, che poi altro non sono che veri e propri ospedali nei quali si svolgono attività di ricerca clinica e di gestione dei servizi sanitari: l’Istituto nazionale per le malattie infettive intitolato alla memoria di Lazzaro Spallanzani, che ha sede a Roma. Tutte le città italiane gli hanno dedicato scuole, strade, viali, piazze, tranne la città di Catania, che gli ha intitolato un vicolo cieco lungo appena 25 metri, in via Nuovalucello. La sua città natale, Scandiano, in provincia di Reggio Emilia, lo ricorda con un monumento e un osservatorio astronomico con tre cupole. Sempre in campo astronomico, in suo onore sono stati denominati un asteroide, “10350 Spallanzani”, scoperto nel 1992 dall’astronomo belga Eric Walter Elst, un cratere sul pianeta Marte e uno sulla Luna. A lui, gli zoologi, hanno dedicato una specie di Anellide Polichete, l’elegante spirografo Sabella spallanzanii.
Ma chi era Lazzaro Spallanzani? Di quali glorie scientifiche si coprì? Certamente, non fu un Carneade qualsiasi, ma fu un grande scienziato vissuto nel secolo dei Lumi. Nacque nel 1729 e, a quindici anni, entrò nel collegio dei gesuiti di Reggio Emilia, dove seguì i corsi di Filosofia e di Retorica. Studiò all’Università di Bologna, dove, dopo aver abbandonato gli studi giuridici che aveva inizialmente intrapreso, si dedicò alla Filosofia naturale e, nel 1753 (o 1754), conseguì la laurea in Biologia. Nel 1762 prese gli ordini sacerdotali e, l’anno successivo, si trasferì a Modena, dove insegnò Filosofia e Retorica all’Università e Matematica e Greco nel Collegio San Carlo. Nel novembre del 1769 fu nominato professore di Storia Naturale all’Università di Pavia, città in cui visse e operò per trent’anni, fino al giorno della sua morte, avvenuta nella notte tra l’11 e il 12 febbraio del 1799. A Pavia, la sua vita fu divisa fra la docenza, la direzione del Museo di Storia naturale e i viaggi scientifici, alcuni dei quali avventurosi, come quello che effettuò, tra il 1785 e il 1786, a Costantinopoli e, due anni dopo, nelle Due Sicilie, di cui scrisse il volumetto “Viaggi alle due Sicilie”, i primi due capitoli del quale sono dedicati alla “Visita al Vesuvio” e alla “Visita al Monte Etna” (soggiornerà per trentacinque giorni alle isole Eolie, come ricorda una epigrafe a Lipari, perché il bastimento francese diretto a Messina su cui era imbarcato doveva fare un carico di pomice eoliana). Spallanzani non può fare a meno di paragonare i due vulcani: “Quantunque il Vesuvio per se stesso considerato debba dirsi un insigne Vulcano (…), pur nondimanco ove vogliasi all’Etna paragonare, perde assaissimo (sic! n.d.r.) di sua fama, e si rimpicciolisce per guisa, che oserei quasi nomarlo un Vulcano da Gabinetto”. Dopo, non trascura di ricordare la devastante eruzione del 1669, la cui lava “(…) squarciato un fianco dell’Etna, inondò con infinita rovina uno spazio di quattordici miglia in lunghezza, sopra tre o quattro in larghezza, e soperchiate le mura di Catania, e coperta una parte di lei, andò in fine a precipitarsi nel mare (…). Esaminati per qualche tempo i contorni di Catania col Cavaliere Gioeni (…) mi avviai la mattina del 3 di settembre al Monte Etna, accompagnato tra gli altri da Carmelo Pugliesi (o Puglisi? n.d.r.) e Domenico Mazzagaglia (o Mazzaglia? n.d.r.), due guide peritissime di quelle strade”. Dopo l’ascesa ai Monti Rossi (“e penai a salirlo, per il profondarsi in essa fino al ginocchio il piede”), Spallanzani esplora minutamente “questo Monte bivertice su la cima” e ne descrive le lave. “Prima che finisse il giorno – continua Spallanzani – giunsi alla Grotta delle Capre, tanto ricantata, quantunque non dia che un meschino alloggiamento di foglie, e di paglia per restarvi la notte, ma che nondimanco è il solo per chi desidera trovarsi di buon mattino alla cima dell’Etna, che ne è distante otto miglia”. La grotta delle Capre suscitò l’interesse di Spallanzani e, dopo aver precisato che, prima di lui, l’hanno “così chiamata per chiudervi dentro le Capre ne’ tempi piovosi (…), ma nessuno ha indicata la natura della lava formatrice di questa Spelonca (…) a base di roccia cornea, che ha grana terrosa, e che quantunque non iscarseggi di picciole vacuità, ha notabile durezza”, dà una singolare spiegazione sull’origine della cavità, che “non è già lavorio delle acque piovane, ma sibbene un prodotto dei gas elastici delle lave quando eran liquide, i quali in esse cagionato hanno quel vuoto, siccome altrove per egual modo generato ne hanno altri assaissimi, di che forse parleremo a miglior luogo”. Lasciata la “Regione mezzana lussureggiante di vegetazione”, Spallanzani narra la prosecuzione del suo viaggio verso il cratere centrale dell’Etna: “(…) m’inoltrai nella Sublime, ignuda di piante, salvo diversi cespugli raramente seminati (…). Io era a quattro miglia dagli orli del gran cratere, quando cominciai a passare dalle tenebre della notte alla luce del giorno (…). Allora fu che cominciarono a cadermi sott’occhi gli effetti della eruzione dell’Etna, avvenuta nel Luglio del 1787, e accuratamente descritta dal Cavaliere Gioeni, voglio dire un velo di nere scorie sottili, ma che a poco a poco che mi accostava al sommo della Montagna si facevan più grosse, e componevano uno strato di molti palmi (…)”. Alla fine, Spallanzani, riesce a raggiungere il cratere centrale, la giornata è limpida “ridente era il cielo, liberato dalle nevi il Monte, non incomoda la temperatura dell’atmosfera, marcando il termometro gradi 7 sopra il gelo, quando colà giunsi (…)”.
Ma torniamo a Spallanzani ricercatore di laboratorio. Fu uno scienziato proteiforme. I suoi orizzonti scientifici furono molto vasti e abbracciarono la Biologia, Geologia, Mineralogia, Chimica, Fisica, Meteorologia, Climatologia, Idrologia e Paleontologia. Fu, insomma, un vero “filosofo della Natura”, come si diceva a quel tempo. Ma, per le sue importanti ricerche e scoperte, è unanimemente riconosciuto come il padre della Biologia moderna. Scoprì il succo gastrico e dimostrò come il processo digestivo non consista solo nella semplice triturazione meccanica del cibo, ma anche in un processo chimico che avviene nello stomaco, necessario per consentire l’assorbimento delle sostanze nutritive. Effettuò ricerche sulla fecondazione artificiale usando uova di rana e di rospo. Sperimentò la rigenerazione di organi tagliando lombrichi, idre, salamandre, girini e lumache. Studiò la criptobiosi, che è uno stato di vita con assenza di metabolismo nel quale entrano alcuni organismi (Tardigradi, per esempio) se si trovano in condizioni ambientali avverse. Dimostrò sperimentalmente l’esistenza dei capillari e degli scambi gassosi respiratori nel sangue. Si occupò del volo dei pipistrelli, i quali dopo averli accecati con una poltiglia di vischio vide che continuavano a volare al buio, ma non erano in grado di orientarsi se gli tappava le orecchie, facendogli ipotizzare che questi mammiferi volatori fossero dotati di “un nuovo senso”, supposizione che sarà smentita dalle ricerche del giovane naturalista svizzero Louis Jurine, il quale riuscì a dimostrare che era l’udito l’organo che consentiva la localizzazione di ostacoli da evitare, prede da catturare e predatori da cui sfuggire (saggiamente, Spallanzani ne prese atto “quantunque dapprima pensassi diversamente”).
Tra i numerosi esperimenti e scoperte di grande importanza scientifica sicuramente meritano un posto di primissimo piano quelli che consentirono a Spallanzani di sferrare un colpo mortale alla teoria della generazione spontanea o abiogenesi. Cominciò a occuparsene nel 1761 e, dopo quattro anni di ricerche, riuscì a determinarne l’assoluta infondatezza pubblicando i risultati nel “Saggio di osservazioni Microscopiche sul Sistema della Generazione dei Signori di Needham e Buffon”. Ma ricostruiamo i fatti sin dall’inizio. Fino al XVII secolo, era opinione diffusa che la vita potesse nascere spontaneamente dalla materia inanimata, vale a dire che gli esseri viventi potessero nascere dal fango o da materia organica in putrefazione: crini di cavallo che se cadevano in una pozzanghera si animavano tramutandosi in vermi, un pezzo di carne dimenticato sul davanzale di una finestra generava i vermi, e altre amenità simili discorrendo. Nel 1668, questa assurda teoria fu confutata da un altro gigante della Biologia: il medico e naturalista toscano Francesco Redi, che dimostrò sperimentalmente che i vermi altro non erano che larve di mosche. Argomentò, Redi, che le larve nascevano solo là dove le mosche avevano potuto depositare le uova. Chiudendo ermeticamente il recipiente con la carne, infatti, alle mosche veniva impedito di deporre le loro uova. La questione sembrava archiviata, nonostante le obiezioni dei detrattori di Redi, secondo i quali la carne sigillata nel contenitore non brulicava di vermi perché la chiusura ermetica aveva impedito l’accesso di un inafferrabile “spirito vitale”. Qualche anno dopo, però, la generazione spontanea tornò ancora in auge e balzò al centro delle discussioni filosofico-scientifiche. L’olandese Antoni van Leeuwenhoek, tra il 1673 e il 1677, con l’uso del microscopio autocostruito scopre gli “animalucci delle infusioni”, piccoli organismi (Protozoi, Rotiferi, Nematodi, Briozoi) che si sviluppano nelle infusioni vegetali. L’inglese John Needham, che era un convinto sostenitore della generazione spontanea, nel corso dei suoi esperimenti faceva bollire per breve tempo una miscela brodosa e, dopo averla raffreddata in un contenitore aperto a temperatura ambiente, sigillava le bottiglie. Dopo pochi giorni, si accorgeva che nei contenitori erano presenti dei microbi, a dimostrazione che esisteva una “forza vitale” che induceva una generazione spontanea. I suoi esperimenti non convinsero Lazzaro Spallanzani, che con una serie di esperimenti sottopose a una prolungata bollitura le infusioni vegetali e animali. Sigillando accuratamente i contenitori, in essi non era presente alcun microrganismo, dimostrando così l’inesistenza dello “spirito vitale”. Ciò nonostante, agli inizi dell’Ottocento, ancora una volta la teoria della generazione spontanea rialza la cresta. Tra i suoi più convinti sostenitori, i francesi Étienne Geoffroy Saint-Hilaire e Jean-Baptiste de Lamarck, entrambi convinti che le forme di vita più semplici potevano essere generati da materia inanimata. Il dibattito scientifico infuriò e quando divenne troppo vivace, l’Accademia delle Scienze di Parigi mise in palio un premio da assegnare allo scienziato che fosse stato in grado di scrivere la parola fine sull’argomento. Il premio fu vinto, nel 1864, dal grande biologo francese Louis Pasteur, che con un semplice esperimento riuscì a mettere tutti d’accordo sull’inesistenza della generazione spontanea. Per i suoi esperimenti, Pasteur utilizzò delle ampolle di vetro alcune col collo dritto, altre col collo forgiato a oca. Entrambe le ampolle erano lasciate aperte, in modo che sia l’aria sia il fantomatico “spirito vitale” potessero liberamente transitare. Poi, bollì a lungo il contenuto dei matracci in modo da sterilizzarne il contenuto e dimostrò che i microrganismi erano presenti soltanto nelle ampolle col collo dritto, che permetteva agli agenti contaminanti di depositarsi nel brodo di coltura, mentre in quelle col collo a “S” risultavano incontaminate perché le spore batteriche non superavano la curvatura. Il commento di Pasteur alla Sorbona di Parigi fu lapidario: “Mai la teoria della generazione spontanea potrà risollevarsi dal colpo mortale inflittole da questo semplice esperimento”.
GIUSEPPE SPERLINGA

Lazzaro Spallanzani (ou Spalanzani, 1729-1799), biologiste italien, faisant des expriences sur la digestion chez les oiseaux. d’aprs “La Ciencia y sus Hombres par Louis Figuier” Barcelona 1881
COMETA NEOWISE, PERSEIDI, TRIO PLANETARIO E TRIANGOLO ESTIVO BRILLANO NEL CIELO DI CIELO AGOSTO 2020
COMETA NEOWISE, PERSEIDI, TRIO PLANETARIO E TRIANGOLO ESTIVO BRILLANO NEL CIELO DI CIELO AGOSTO 2020
Continua, in agosto, lo show celeste della cometa Neowise (C/2020 F3). Coloro i quali non avessero finora avuto la possibilità, potranno ammirare l’astro chiomato in condizioni ottimali fino alla metà di agosto. Dopo, infatti, la cometa s’abbasserà sempre di più sul piano dell’orizzonte fino a tuffarsi negli spazi siderali dai quali è venuta, la rivedranno i nostri posteri tra circa settemila anni. Per rintracciare la cometa occorre, anzitutto, trovare una postazione lontana dal riverbero delle luci di centri abitati e, dalle 21 alle 23, con l’ausilio di un binocolo (i telescopi non servono per osservare oggetti diffusi come le comete) guardare in direzione Nord-Ovest, dove, nella prima decade del mese, la cometa transiterà nella plaga di cielo posta sotto il Gran Carro dell’Orsa Maggiore e la costellazione del Boote. Nella notte di San Lorenzo, si troverà proprio al di sotto della luminosa Arturo, la stella più luminosa di quest’ultima costellazione dalla caratteristica forma di aquilone, a un’altezza di una decina di gradi sul piano dell’orizzonte (ideali tutti i siti del versante Sud-Occidentale dell’Etna, purché privi di ostacoli visivi).
Dopo aver ammirato la cometa Neowise con la sua doppia coda di ioni (azzurrina) e di polvere (giallastra), approfittatene per tentare di riconoscere sia le costellazioni circumpolari sia quelle che dominano i cieli estivi. A Nord-Ovest, come già detto, sempre più bassa è facilmente riconoscibile l’Orsa Maggiore con il Gran Carro e, dalla parte opposta si nota la coppia regale formata dal re Cefeo a forma di casetta e dalla vanitosa regina Cassiopea a forma di “W”. Tirando una linea immaginaria tra le stelle che formano le ruote posteriori del Gran Carro e seguendola per cinque volte la loro distanza si arriva in prossimità della Stella Polare del Piccolo Carro dell’Orsa Minore. Sotto Cassiopea, vedremo sorgere la costellazione del Perseo, dove vi è il radiante delle Perseidi, lo sciame meteorico della notte tra il 12-13 agosto. Con un buon binocolo (è visibile anche a occhio nudo), tra Cassiopea e Perseo, è individuabile il famoso Doppio Ammasso (Xi e Chi Persei) del Perseo formato da due ammassi stellari aperti di rara bellezza. Spostando lo sguardo un po’ più verso oriente, vedremo la costellazione di Andromeda (con la sua celeberrima omonima galassia), della quale una stella entra a far parte del Quadrato di Pegaso, il cavallo alato nato dal sangue della Medusa decapitata da Perseo. Ma, a dominare il cielo di agosto, allo zenit, è ancora il Triangolo Estivo, i cui vertici sono formati dalle stelle Vega della Lira, Deneb del Cigno e Altair dell’Aquila. Il cielo meridionale è, invece, popolato dalle costellazioni del Sagittario con le nebulose Laguna e Trifida e dello Scorpione con il suo “cuore rosso”, la brillante stella Antares. Sopra lo Scorpione, vi è l’Ofiuco, la famosa tredicesima costellazione zodiacale pervicacemente ignorata negli oroscopi ammanniti da sedicenti maghi a beneficio dei creduloni.
Rapido excursus planetario. Mercurio sarà visibile con difficoltà all’alba fino al 12, lo rivedremo al tramonto a fine mese. Venere sarà Lucifero, la stella del mattino, visibile a oriente tre ore prima dell’alba. Nel cielo orientale, intorno alla mezzanotte, ci sarà pure Marte, tra le stelline dei Pesci.
Il gigantesco Giove, luminoso, appare dopo il tramonto nell’orizzonte sud-occidentale, culmina a sud ed è osservabile per l’intera notte tra le stelle della costellazione del Sagittario. Il pianeta degli anelli, Saturno presenta le stesse condizioni di visibilità di Giove. Urano, come il pianeta rosso, sorge intorno alla mezzanotte ed è rintracciabile sull’orizzonte orientale dove è possibile osservarlo con un buon telescopio nella seconda parte della notte. Nettuno, infine, è osservabile dopo il tramonto a Sud-Est e, verso la mezzanotte, nel cielo meridionale, naturalmente con l’ausilio del telescopio.
GIUSEPPE SPERLINGA
NEOWISE, LA COMETA DELL’ESTATE
ECCO NEOWISE, LA SORPRENDENTE COMETA DELL’ESTATE
Dopo le amare delusioni per la misera fine delle comete Atlas e Swan, disintegratesi dopo aver raggiunto il perielio, una è riuscita a superare indenne l’incontro ravvicinato con il Sole e da qualche giorno è l’oggetto più fotografato del cielo di luglio: è Neowise, scoperta mentre infuriava nel mondo la pandemia del Covid, il 27 marzo scorso, dal telescopio spaziale della Nasa “Neowise” (acronimo di Near Earth object wide-field infrared survey explorer) e catalogata con la sigla “C/2020 F3” (ricordiamo che la lettera “C” vuol dire che è una cometa non periodica o a lungo periodo; “2020” è l’anno della scoperta; la lettera “F” indica che è stata scoperta nella seconda metà del mese di marzo; il numero “3” significa che è la terza cometa scoperta in questo caso dal telescopio spaziale di cui porta il nome).
Le riprese degli astrofotografi siciliani Dario Giannobile e Franco Traviglia sono suggestive e di incomparabile bellezza. Giannobile è riuscito a immortalare l’astro chiomato mentre solca il cielo sopra l’isolotto di Isola delle Femmine, nel Palermitano. “Non è stato facile – scrive sul suo profilo facebook – Ho cercato diversi allineamenti e diverse soluzioni nel tentativo di offrire al mondo dell’astrofotografia uno sguardo originale. Alla fine ho trovato un luogo meraviglioso: l’Isola delle Femmine, in provincia di Palermo. Appena arrivato sul luogo ho piazzato la macchina fotografica nella speranza di non avere sbagliato i calcoli. Uno strato di nuvole basse all’orizzonte mi ha impedito di vedere sorgere la cometa dal mare, ma poco dopo si è alzata in alto nel cielo, uno spettacolo che non vedevo da circa 20 anni! Lo scatto non è stato da meno! Bellissimi colori, l’isolotto ripreso in lontananza, diverse sfumature sia nel cielo che nel mare… e lì, in alto, la cometa si mostra come protagonista con la sua meravigliosa coda”. Franco Traviglia, invece, è riuscito a riprendere la cometa, con in basso le luci diffuse della città di Catania, dalla contrada Salto di Primavera, nei pressi dell’Osservatorio astronomico di Scordia.
Neowise ha raggiunto il perielio lo scorso 3 luglio e, per fortuna, il suo nucleo non si è frammentato come è accaduto alla Swan e alla Atlas, da allora si sta allontanando sempre più dal Sole. Ciò vuol dire che sarà possibile vederla sia a occhio nudo sia con piccoli binocoli e telescopi, distinguere la coda di polveri colore giallastro dovuto alla riflessione della luce solare. Dove cercarla in cielo? Fino al 10 luglio, è preferibile osservarla prima dell’alba, verso le 4 del mattino, molto bassa sull’orizzonte nord-orientale: scelto come punto di riferimento il luminosissimo pianeta Venere, poi bisognerà spostare lo sguardo verso nord, rintracciare la costellazione dell’Auriga e, più in basso della brillante Capella si potrà scorgere Neowise. Nei giorni successivi, fino ai primi di agosto, la troveremo, sempre bassa, sull’orizzonte nord-occidentale, nelle ore serali, dalle 21 a mezzanotte. Il dott. Piero Massimino, dell’Inaf Osservatorio astrofisico di Catania, ci informa che nella seconda metà di luglio, alla latitudine del capoluogo etneo, da una postazione priva di ostacoli visivi, si potrà individuare la cometa in direzione nord-occidentale, dove, la sera del 30 luglio raggiungerà la massima altezza di poco più di 15 gradi sul piano dell’orizzonte e sarà individuabile tra la stella Arturo del Boote e l’Orsa Maggiore. Poi, in agosto, l’astro chiomato tornerà ad abbassarsi, perché è in fase di allontanamento dal Sole e ciò comporterà un notevole calo della sua luminosità fino a quando non sarà più possibile vederla a occhio nudo.
Per godere di questo suggestivo spettacole celeste offerto dal cielo di luglio è sufficiente dotarsi di un binocolo ben fissato su di un treppiede. Agli amatori dell’astrofotografia, Franco Traviglia suggerisce di utilizzare una reflex cui dare un minuto di esposizione. Buona visione, lo spettacolo è da non perdere ed è gratuito, offre la Natura.
GIUSEPPE SPERLINGA